Rosa Gentile Psicologa

Il viaggio di David e Benji: elaborare il lutto attraverso le radici familiari

A Real Pain è la storia di un viaggio che intraprendono due cugini, David e Benji, a seguito della morte della loro nonna.
Zaino in spalla, decidono di partire e di andare in Polonia, luogo natio della loro nonna, che sebbene non fosse un luogo a loro noto, si rivelerà centrale per il dispiegarsi delle loro questioni familiari.

Andare in Polonia richiede ai due fare i conti con la storia dolorosa della donna, la quale vive anni prima l’Olocausto.
Visitare quei luoghi inediti comporta per David e Benji il doversi in un certo senso confrontare con un vissuto molto denso, prima di allora ancora poco chiaro e poco definito, apparentemente così lontano dalle loro vite, eppure allo stesso tempo così intenso e familiare.

David, il personaggio interpretato da Jesse Eisenberg, avrà proprio modo di dire di essersi deciso in questo viaggio-percorso sulla scia della depressione di suo cugino Benji, personaggio interpretato da Kieran Culkin (che si aggiudica il premio Oscar per quest’interpretazione magistrale!).

La depressione come impossibilità di elaborare il lutto

Secondo Freud, il padre fondatore della psicoanalisi, la depressione indica proprio questa difficoltà, questa impossibilità nell’elaborazione del lutto, questa impossibilità nel lasciare andare “l’oggetto amato” (dove per oggetto si intende la persona, un’idea, una relazione, un progetto).
In qualsiasi processo elaborativo ci si confronta con la perdita dell’oggetto amato, di quella persona, di quell’ideale su cui avevamo tanto investito in termini affettivi che lasciarlo andare comporta il confrontarsi con il posto vuoto che lascia.

Ciascuno affronta in modo soggettivo la perdita

Ciascuno affronta in maniera singolare e soggettiva il “proprio lutto”, non esistono tempi prestabiliti né percorsi lineari in grado di scandire i diversi momenti del lutto.
Molti possono reagire alla perdita mettendola da parte e “fingendo” che quell’evento non sia mai accaduto, altri possono riempirsi l’agenda di tante cose da fare per non soffermarsi sul proprio sentire, proprio perché so-stare su quel dolore in quel momento diventa insostenibile.

Proprio per questo a volte diventa necessario armarsi di difese per “filtrare” quel sentire, per fare in modo che faccia un po’ meno male.
Ciascuno fa ciò che può con ciò che ha. Con le proprie risorse ed i propri tempi. Non esistono modalità universali che ci indicano che “stiamo vivendo bene” quel processo.

Il transgenerazionale: quando il trauma si trasmette alle generazioni successive

Questo film apre su un dolore antico, probabilmente non elaborato, che diventa così ingombrante da diventare un messaggio da cifrare per le generazioni successive.
Il compito di prendersi carico quel dolore se lo assume, in questo caso, la terza generazione: i due cugini, nipoti della donna che vive in prima persona un’esperienza così terribile.

René Kaës sostiene fortemente che ciò che non viene elaborato da una generazione ritorna alla generazione successiva.
In qualche modo questo viaggio diventa un’occasione, un’occasione per tornare in vecchi luoghi che sono sia fisici (concreti e reali) che metaforici poiché fanno riferimento ad un vissuto soggettivo interno.

Rielaborare il dolore per ricomporre la propria identità

Dunque partire ed esplorare quei luoghi diventa un modo per rivangare il passato e comprendere quel pezzettino di sé nella propria storia familiare, permette di guardare con una maggiore visione d’insieme i vari elementi.
E magari riuscire finalmente a ricomporre l’immagine intera del puzzle, riuscire a far combaciare tutti (o quasi!) i pezzi.